Dal Disengagement all’Anima del Brand
di Stefania Mana
Nell’attuale scenario lavorativo, il fenomeno noto come “quiet quitting” (atteggiamento di coloro che svolgono il proprio lavoro facendo il minimo indispensabile, evitando il rischio di essere licenziati, ma senza mostrare alcun vero coinvolgimento nelle loro mansioni), è ormai riconosciuto dagli addetti ai lavori.
Nel recente rapporto del 2023, “State of the Global Workplace”, Gallup rivela come questo comportamento coinvolga il 59% dei lavoratori a livello globale.
L’indagine esplora diversi aspetti, tra cui l’engagement delle persone, cioè il loro coinvolgimento attivo nel lavoro, e la situazione in Italia è particolarmente allarmante: solo il 4% dei dipendenti italiani riferisce di essere davvero coinvolto e motivato nel proprio lavoro. Questo pone l’Italia in coda alla classifica europea.

DISENGAGEMENT, CI RIMETTONO TUTTI
Questa situazione riflette un mancato entusiasmo, una situazione di stress e demotivazione per non poter esprimere il proprio potenziale da parte dei dipendenti verso il proprio lavoro. Fa emergere una serie di ricadute all’interno delle organizzazioni:
- Alto turn over
- Cali della produttività
- Assenteismo e appunto, quite quitting
- Burnout e incidenti sul lavoro
E infine, fa allontanare l’utente finale dall’azienda, che in modo più o meno sottile percepisce queste situazioni negative. Insoddisfazione, malcontento, stress, non possono rimanere nascoste e circoscritte all’interno delle organizzazioni e rischiano di ledere l’immagine, la reputazione aziendale e il fatturato.

COSA SUCCEDE QUANDO CI INNAMORIAMO?
Quando incontriamo la nostra anima gemella vengono coinvolti moltissimi aspetti: dall’attrazione fisica, alla condivisione di valori e di esperienze, alla sensazione di sicurezza, protezione e fiducia, al benessere, fino alla progettualità e all’evoluzione personale.
Se iniziamo a perdere dei pezzi, potremmo disinnamorarci.
Lo stesso può avvenire per un cliente e un brand.
Quante volte ti è capitato di cambiare negozio perché il personale è stato scortese, incompetente o semplicemente distratto? Quante volte hai scelto di volgere lo sguardo e acquistare altrove, presso realtà attente, proattive, affascinanti?
Lo stesso può avvenire per un lavoratore e l’azienda presso cui lavora.
Per questo, da qualche anno, il well-being in azienda si è reso più che mai necessario ed è nata, ad esempio, la figura del Chief Happiness Officer, per invertire i numeri disastrosi di demotivazione, disengagement, conflitto, tossicità, burnout.
Ma queste misure possono non bastare, infatti non tutte le realtà possono permettersi una figura dedicata, e in alcuni casi si parla di interventi di facciata (sulla scia del più noto greenwashing, si può infatti parlare di well-being washing per indicare tutte quelle attività volte a dipingere, internamente e spesso esternamente, la propria realtà come attenta al benessere delle sue persone, sebbene le cose vadano in maniera totalmente diversa…).
Le aziende si concentrano sui servizi da offrire e sui benefici tangibili (benefici funzionali), dedicando poco spazio e sottovalutando l’importanza dei benefici intangibili (emotional benefit + self-defining benefit).
Perché allora, non ripartire dall’essenza del brand aziendale per far rinnamorare di sé le persone che fanno parte dell’ecosistema organizzativo?
RI-SCOPRIRE LA BRAND ESSENCE, L’ANIMA DELL’AZIENDA
La Brand Essence è il patrimonio immateriale della marca, l’insieme di percezioni, immagini e valori legati e associati al brand. E’ una sorta di promessa che l’azienda fa al suo pubblico e anche alle persone che lavorano per e con lei.
Per performare e raggiungere grandi obiettivi potrebbe essere utile iniziare a:
- definire la brand personality, partendo dalla brand essence
- definire il proprio WHY e i valori aziendali (core values), che la marca decide di intraprendere, vivere, rivedere nel tempo.
- individuare i tratti distintivi per rendere più riconoscibile e memorabile la propria marca
- comunicare la propria brand personality in modo strategico per diventare rilevanti.
Tutto ciò non dovrebbe avvenire solo tra i manager della prima linea chiusi dentro a un ufficio all’ultimo piano, ma ascoltando e coinvolgendo tutte le persone che fanno parte dell’ecosistema organizzativo, nel trovare le risposte e le soluzioni migliori.
- Perché i collaboratori coinvolti, motivati e che si sentono parte vitale dell’azienda danno il meglio. Lo dicono ormai diversi studi: i dipendenti felici sono fino al 12% più produttivi!
- Perché le aziende che hanno investito nel coinvolgimento dei dipendenti hanno visto un incremento medio della redditività del 21%, così come maggiori vendite, produttività e soddisfazione del cliente finale.
- Perché è di fatto un enorme vantaggio competitivo poter avere risorse straordinariamente valide, realmente motivate e competenti.
- Perché la comunicazione all’esterno diventa naturalmente molto più autentica, efficace e coerente.
- Perché amare, ed essere amati, implica ascolto, impegno e progettualità.
Provare per credere!