Prendere decisioni tra l’imprevedibile e l’incerto (p. 1)

di Massimo Cavalieri

Mi piace pensare all’essere umano come a un decisore. In natura ci contraddistinguiamo dalla capacità di prendere decisioni. 

La nostra quotidianità è popolata da eroi, spesso invisibili, senza i quali molte delle cose che accadono non avrebbero senso. Sono coloro che in ogni momento, in ogni luogo, in ogni circostanza, con le loro decisioni rendono questo mondo un luogo migliore dove far vivere chi c’è e chi ci sarà.

Prendere decisioni è anche una responsabilità. Se abdichiamo, se ci togliamo questa responsabilità di dosso, allora apriamo le porte all’insuccesso, allo stallo, al fallimento.

Riprendo Napoleon Hill:

“L’accurata analisi di oltre venticinquemila uomini e donne che hanno sperimentato il fallimento ha rilevato che la mancanza di decisione era in cima alla lista delle trenta principali cause di fallimento. Questa non è una mera enunciazione di una teoria: è un dato di fatto.” 

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COSA C’E ALLA BASE DELLE NOSTRE DECISIONI?

Nel mio ingenuo sviluppo adolescenziale, ai primi contatti con la filosofia, mi sono illuso della straordinaria diversità e superiorità del genere umano rappresentata dalla ragione.

Mi sono cullato in questa convinzione per lungo tempo, corroborato dalle pagine dei classici greci, degli scolastici e via via, in una turbolenza di conferme, fino a Cartesio, a Kant e alla filosofia moderna e contemporanea. Viviamo secondo logica e ragione, forti del nostro pensiero, delle nostre rigorose considerazioni e delle nostre conseguenti decisioni. Siamo gli unici viventi dotati di ragione, questo ci distingue e misura la nostra grandezza.

C’erano, in verità, ampie aree di inspiegato, di non argomentato pienamente, per cui il “non razionale” veniva trattato come una sorta di buco nero da emarginare dai processi tipicamente umani. Del resto da bambino le emozioni – quelle che si manifestano in modo incontrollato: rossori, brividi, palpitii, lacrime – dovevano rimanere nascoste, non mostrate, addirittura bandite.

Poi le neuroscienze sono entrate prepotentemente nella nostra vita di tutti i giorni, modificando inesorabilmente molte delle basi del nostro sapere sull’umana natura e la sua neurologia.

Quello che Cartesio separò col suo “Cogito ergo sum”, relegando le emozioni ad una categoria subumana da emarginare a tutto vantaggio delle leggi del pensiero e della scienza, oggi si riconnette con forza, si ricongiunge. Anzi le emozioni riemergono prepotentemente, diventano protagoniste assolute delle dinamiche comportamentali e pratiche, addirittura fortemente connesse al pensiero. Quante volte ci siamo inspiegabilmente impediti di agire dopo decisioni prese a seguito di raffinati ragionamenti e strategie ben strutturate? Eccoci tanto pronti all’azione, quanto sospesi da irragionevoli blocchi, da resistenze interne non specificate, da demotivazione latente, e da sensazioni di debolezza fuori controllo.

Il nostro sistema emozionale detiene, automaticamente, il controllo, ci condiziona, ci blocca, ci stringe lo stomaco. Come è possibile tutto questo? Come può accadere che pur sapendo quale sia la decisione da prendere, la strategia da mettere in atto, rimaniamo sospesi, come se a guidare i nostri comportamenti ci fosse una forza estranea?

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RIPRENDERE CONTATTO CON IL PROPRIO SISTEMA EMOZIONALE

Nella complessità del nostro cervello c’è la risposta, nella crescente presa di coscienza e consapevolezza della nostra struttura decisionale la soluzione.

Oggi comprendiamo come le emozioni stesse siano parte del processo cognitivo e non semplicemente delle risposte incontenibili a stimoli fuori controllo. In questa dimensione le emozioni diventano non delle reazioni, ma degli strumenti di valutazione (qui torna Aristotele) contro il dualismo cartesiano tra mente e corpo. In pratica le emozioni non sono nel cuore, ma nel cervello stesso, e il cuore non è così separato dal cervello come spesso si crede.

È giunto il momento di tornare a confrontarci col nostro sistema emozionale, a considerarlo, conoscerlo e comprenderlo.
È giunto il momento dell’unicità, della totalità e della pienezza, almeno con noi stessi, poichè senza emozione non è possibile trasformare le tenebre in luce e l’apatia in movimento.

Prendiamo, senza esserne pienamente consapevoli, decine e decine di decisioni nell’arco di una giornata e da queste decisioni derivano comportamenti e azioni che configurano il nostro destino. Il fatto che siano decisioni per lo più inconsce, probabilmente, le rende facilmente attuabili, utili, oltre che ridondanti e ripetitive, fino a diventare abitudini consolidate.

Eppure tanto più percepiamo una decisione fondamentale, rilevante e importante, tanto meno riusciamo a decidere. Quando ci preme veramente si aggrovigliano dentro di noi tutta una serie di elementi e di stati emozionali, da metterci nella condizione peggiore per attivare comportamenti buoni e validi e ci ritroviamo in una modalità di forte autosabotaggio.

SAPER DECIDERE TRA BIAS ED EURISTICHE

Saper decidere, oggi più che mai, è la vera risorsa strategica per fare della nostra vita un bene apprezzabile e soddisfacente.

Il nostro sistema decisionale a livello celebrale è stato impostato dalla natura con lo scopo di proteggerci e di salvarci. Ci siamo evoluti e oggi – dopo più di centocinquantamila  anni – se siamo ancora su questo mondo, lo dobbiamo a questo sistema la cui caratteristica essenziale è di essere veloce, immediato, molto “istintivo” e basato su poche essenziali informazioni.

Un sistema straordinario che ci ha permesso di solcare i millenni evolvendo lentamente in ciò che oggi siamo.
Ai nostri tempi questi meccanismi sono ancora attivi anche se, probabilmente non più attuali. Troppo lento, infatti, il loro riadattamento rispetto alla velocità con la quale stiamo trasformando il nostro mondo. Tanto erano perfetti nell’ambiente nel quale si sono forgiati per milioni di anni, quanto sono decisamente imbarazzanti nel mondo che abbiamo costruito negli ultimi duecento anni. Ancor di più dopo la forte accelerazione degli ultimi trenta.

Nel nostro quotidiano, quindi, non ci sforziamo troppo di seguire la lenta raccolta di dati e la complessa logica per elaborarli correttamente, al fine di prendere decisioni efficaci e valide. Decidiamo facendo riferimento a pochi dati e scarsi elementi che riteniamo utili e sufficienti per orientare scelte, comportamenti e azioni.

Su che cosa basiamo i nostri ragionamenti? Su premesse non sempre verificate, spesso inesatte, costituite da credenze, stereotipi, pregiudizi ritenuti verità assolute. E quando, alla scarsa e scadente qualità delle informazioni si aggiunge la componente emotiva generata dal senso di urgenza e di rischio, allora logica e razionalità quasi svaniscono.

Due termini, per lo più sconosciuti, oggi vengono utilizzati per spiegare la complessità del “Decision making” – cioè del complesso risultato dei processi cognitivi ed emozionali che determinano di optare per una linea di azione tra diverse possibili alternative – bias ed euristiche.

Le cattive decisioni non sono prese per mancanza di capacità o di giudizio istintivo, ma a causa dell’incapacità di gestire la pressione nel momento cruciale.

James Karr

Ecco cosa c’è alla base delle nostre decisioni.

Il termine Bias è un termine inglese che dal 1500 assume il significato di: inclinazione, predisposizione, pregiudizio; oggi individua le trappole mentali che ci condizionano. I bias cognitivi sono elementi del pensiero fondati su eccezioni deformate e inesatte, su pregiudizi, su costrutti ideologici ed educativi. Si tratta di errori cognitivi, assunti al di fuori del giudizio critico, utilizzati per prendere decisioni veloci e senza sforzi particolari. Hanno un impatto enorme sul nostro quotidiano, sui nostri comportamenti e sui nostri processi mentali.

Le Euristiche (dal greco ευρίσκω: trovare, scoprire), sono, a differenza dei bias, processi mentali intuitivi e sbrigativi, scorciatoie mentali che permettono di attivare considerazioni e idee generiche su argomenti vari, senza particolari fatiche cognitive e spesso di bassa qualità. In pratica sono strategie veloci, escamotage mentali, utilizzati molto spesso per prendere decisioni spicciole.

Semplificando molto possiamo dire che i bias sono sistemi di pensiero pregiudiziali, etichette facili da usare e da appiccicare alla realtà per rendercela accettabile.

Le euristiche invece sono una vera e propria scorciatoia mentale che ci permette di accedere al nostro sistema mnemonico orientando i ricordi in funzione del presente. Vi sono diversi tipi di euristiche. Secondo l’euristica della disponibilità le persone valutano le probabilità di un evento giudicando la facilità con cui riescono a ricordarsi i casi in cui si è verificato.

     

    (PROSEGUE) 

    Massimo Cavalieri

    Business Coach | Formatore | Esperto di dinamiche mentali

    Life Insight Srl SB

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