Robert Plutchik e il fiore delle Emozioni. Una bussola contro l’analfabetismo emotivo nelle organizzazioni

di Andrea Sacco

Se dovessi chiederti in questo momento di prendere un foglio e scrivere il nome di tutte le emozioni che conosci, quante te ne verrebbero in mente? Se ti va prova a farlo, prendi carta e penna o qualunque cosa ti permetta di scrivere e metti a terra quelle che conosci, usando un minuto di tempo.

Forse hai già sbirciato il fiore di Plutchik e ne hai aggiunta qualcuna in più?! 

La maggior parte delle persone “normali” potrebbero fermarsi a contarle con le dita di una mano: gioia, tristezza, rabbia… 

Se hai visto il film di animazione “Inside Out“, magari avresti aggiunto: disgusto e paura, perché questi sono gli altri nomi dati ai personaggi che interpretavano le emozioni principali della piccola protagonista. 

E adesso, con l’uscita di “Inside Out 2″, potresti avere qualche emozione in più da aggiungere alla lista!

Questi film hanno saputo rappresentare le emozioni in modo semplice, ma profondo, rendendo più facile per tutti intuire cosa accade dentro di noi e intorno a noi.

Life Insight Fiore Plutchik Gestione emozioni in azienda

IL FIORE DI PLUTCHIK, UNO STRUMENTO UTILE PER SVILUPPARE L’INTELLIGENZA EMOTIVA

Perché è importante riuscire a dare un nome alle proprie o altrui emozioni? Hai mai sentito dire che la nostra percezione del mondo è il risultato dei pensieri che siamo in grado di formulare

Immagina di sentire una sensazione di disagio e non avere una parola per definirla. Nella mia esperienza ho incontrato più di una persona a cui ho chiesto:

“Come ti senti in quel momento?” 

”Non lo so, è come se fosse rabbia, ma mi viene da piangere”

“Ecco, magari è tristezza?”

 

Riuscire anche solo a nominare un’emozione che si sta vivendo, riporta più velocemente verso uno stato di serenità, è come quando il dottore da un nome al malessere che si prova. Forse perché quando la malattia ha un nome, anche se non esiste una cura, non si è più nell’ignoto.

Ed è anche vero per le emozioni molto piacevoli:

“Sento una gioia immensa”

“Ah, per cosa? “

“Per l’esperienza che sto facendo in questo momento, per la persona che sto diventando”

“Che bello, forse potrebbe essere Gratitudine? “

“Ah! Sì assolutamente, mi sento estremamente grato! Grazie!”

Ecco questi esempi semplici possono aiutarti a comprendere perché è importante dare un nome alle emozioni. 

Nel Fiore di Plutchik, ideato dallo psicologo americano Robert Plutchik, che mi piace chiamare Bussola delle emozioni, si notano queste sfumature: dall’emozione che ha maggior forza al centro, verso la versione più diluita all’esterno. 

Questa rappresentazione è una delle tante ma è un inizio valido per ampliare il proprio vocabolario emozionale. Più il nostro vocabolario sarà ampio, più riusciremo a dare un nome alle sfumature delle emozioni che proviamo o alla combinazione di queste, più potremo farlo quando ci relazioneremo con gli altri.

Il risultato sarà la tanto ricercata intelligenza emotiva, che banalmente può racchiudersi nella capacità di riconoscere, nominare e non di dominare le emozioni, di riconoscerle e guardarle per quello che sono governando i processi non imponendo restrizioni all’espressione, costruendo accordi con i propri e altrui bisogni basati su richieste e non pretese.

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ALLA SCOPERTA DELLA “BUSSOLA DELLE EMOZIONI”

Tornando all’immagine della bussola, puoi notare che l’esterno degli spicchi ha un colore più chiaro rispetto al centro, è il punto di assenza di emozioni, è la punta del fiore quando è chiuso. 

Quando invece è aperto, mostra sul fondo del fiore, al centro della bussola, le emozioni al massimo della loro intensità.

Ciò significa che a volte delle emozioni blande possono essere di aiuto a riconoscere cosa sta per capitare se non si fa nulla: per arrivare alla ripugnanza ad esempio bisogna passare attraverso il disgusto e per arrivare al disgusto dobbiamo prima provare noia rispetto a qualcosa o qualcuno o quanto qualcuno fa, dice o pensa.

Se ci pensi, ad esempio, potrebbe capitare con qualsiasi cosa che contorna la tua vita quando viene portato all’eccesso e non sei in controllo di ciò che sta accadendo. 

Ecco perché una delle migliori competenze da sviluppare è l’ascolto attivo ed empatico, ormai onnipresente nelle liste di competenze trasversali da acquisire in percorsi di crescita di successo.

COME GESTIRE LE EMOZIONI IN 4 STEP

Ma cosa accade se inaspettatamente passiamo dal non sentire emozioni a provare ripugnanza o collera verso una persona? 

Beh può capitare, ecco alcuni passaggi chiave per gestire al meglio le emozioni che proviamo tutti i giorni.

  • Il primo punto è accorgersi di quello che sta capitando o che è appena capitato. L’emozione in questo caso potrebbe essere una forma di difesa che interviene prima ancora della possibilità di pensare, per questo motivo la risposta non può essere ragionata almeno nelle prime fasi di esercizio. 
  • Quello che si può fare quando ci si accorge che è appena capitato qualcosa, o sta capitando, è prenderne coscienza, se possibile fermarsi, portare presenza, magari entrando in colloquio interiore con se stessi per analizzare la situazione.  
  • Posso dire a me stesso:”Sto provando ripugnanza o rabbia” e ripeterlo. Questo mi ridarà potere personale e mi permetterà di capire quale bisogno, dentro di me, risulta insoddisfatto. Dire ad esempio:”lui/lei mi ha fatto arrabbiare”, concede potere e responsabilità agli altri e allontana dalla risoluzione di un eventuale conflitto.
  • Se riesco a stare nella presenza, si può formulare una richiesta sapendo che, se il mondo esterno non la accetterà, sarà per me occasione di poter fare un’altra richiesta fino a trovare un buon punto di connessione fra i miei bisogni e i bisogni dell’altro. 

 

NOMINARE I PROPRI BISOGNI: IL PASSO SUCCESSIVO

Ci sono tante voci quante sono le emozioni che siamo in grado di riconoscere. Ed esistono altrettanti bisogni che possono rimanere insoddisfatti, dei quali magari avremmo voluto non sapere.

Spesso ho sentito dire: “Io non ho bisogno, posso farcela da me”, mostrando questo come un atto di forza, imprecando poi dentro di sé perché l’altra persona non è intervenuta ad aiutare. 

Ecco allora un altro valido strumento per notare quante parti possono essere soddisfatte o insoddisfatte e dargli un nome.

Utile notare come ci sia una enorme differenza fra nominare i propri bisogni e avere pretese, ma è il passaggio successivo, ambito della comunicazione empatica e della Comunicazione Nonviolenta (CNV)!

 

 

Per saperne di più sulla CNV, leggi l’articolo di Irene Zagrebelsky: La Comunicazione non violenta. Una comunicazione a portata di cuori

Andrea Sacco

Business Coach | Counselor organizzativo

Life Insight Srl SB

Percorsi innovativi di Coaching, Formazione, Counseling organizzativo, Facilitazione e Mediazione.

Corso Re Umberto 56, 10100 Torino

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